L’etimologia perduta – di Giovanni Puglisi

Autonomia scolastica e autonomia universitaria sono diventate il must che accompagna tutte le attività che nella scuola o nelle università italiane fanno da ombrello ad  ogni iniziativa o provvedimento che le riguardi: e non ci sarebbe nulla di strano se ciò fosse espressione di un sentimento o di un atteggiamento orientati a richiamare le specificità dei due sistemi formativi. Ma non sempre e non per tutti, o per tutto, è così.

Per i più “autonomia” vuol dire deroga, licenza a fare in modo diverso da come fanno tutti: sport molto amato nello strapaese e carico di fascino soprattutto presso quanti hanno una insofferenza epidermica alle leggi e ad ogni prescrizione anche semplicemente regolamentare. Un esempio, come dire?,  di strada è il divieto di sosta: il segnale stradale piuttosto che un deterrente per non sostare, è quasi come il miele per le api!

Nel corso della storia repubblicana l’espressione  lessicale “autonomia” , piuttosto che il suo significato concettuale è stato molto usato nel tentativo – purtroppo alla fine vano – di dare alle molteplici situazioni e caratteristiche italiane una veste giuridica e culturale legittima. Si pensi per tutte alla storia delle cosiddette autonomie speciali delle 5 Regioni italiane, Sicilia in testa,  a monte o a valle della Costituzione della Repubblica.

Un ambito nel quale l’autonomia, soprattutto da qualche anno a questa parte, la fa da padrona è l’Università e a seguire la scuola. E certamente è giusto così, con una precisazione essenziale. Autonomia è una parola entrata nel lessico italiano dalla lingua greca e si compone di due concetti egualmente forti, ma subordinati almeno logicamente l’uno all’altro: nómos, la legge, le norme , i codici, quello principale, e autós, che marca la centralità del sé, il “proprio”, per i più colti si potrebbe dire ciò che richiama l’ipse latino, è quello subordinato. In altri termini, secondo la Treccani  autonomia vuol dire: “capacità e facoltà di governarsi e reggersi da sé, con leggi proprie, come carattere proprio di uno stato sovrano rispetto ad altri stati. Con riferimento a enti e organi dotati d’indipendenza, il diritto di autodeterminarsi e amministrarsi liberamente nel quadro di un organismo più vasto, senza ingerenze altrui nella sfera di attività loro propria, sia pure sotto il controllo di organi che debbono garantire la legittimità dei loro atti”.

Il diritto quindi di reggersi liberamente, con leggi o norme proprie, è palesemente equilibrato dal quadro di riferimento, al quale ogni sistema autonomistico deve necessariamente riferirsi, con il limite di dovere soggiacere “al controllo di organi che debbono garantire la legittimità degli atti”.  Un sistema del genere garantisce la tutela e la conservazione di tradizioni, diritti, diversità, peculiarità, ma oggettivamente rispetta parallelamente quelle degli altri, si rende compatibile con il sistema di riferimento e mette la propria specificità al servizio dell’intera Comunità.

Il tempo, l’uso, l’abuso, la progressiva degenerazione delle abitudini e l’inesorabile entropia del sistema, spesso anche delle qualità individuali di quanti ne reggono le sorti e la quotidianità, hanno finito con il dare all’autonomia il significato e il valore di “indipendenza” di atteggiamenti e comportamenti, senza doveri e solo diritti. Siffatto atteggiamento ha certamente favorito l’abuso e, comunque più sovente ancora, la prevaricazione, incrementando i contenziosi e riducendo l’efficacia di quell’autonomia che invece dovrebbe essere strumento di implementazione e di ricchezza culturale e morale, prima che materiale ed economica.

Per converso ha attizzato da un lato i “governatori” del sistema generale, i detentori del Potere centrale, che hanno sempre più alzato l’asticella dell’estensione delle prerogative centrali in nome della legittimità del potere di controllo – quell’ingerenza, che proprio il concetto di autonomia escluderebbe –  sconfinando spesso nella censura di merito, mentre dall’altro lato ha, più o meno coscientemente, favorito l’espandersi delle zone grigie, quelle zone, felicemente a Roma poco tempo fa definite di mezzo, dove sguazzano liberi e felici burocrati di genus, camaleonti dell’onestà, ermeneuti, togati e non, da strapazzo. Sono queste zone di mezzo che hanno fatto diventare la nobile autonomia, zona grigia e franca di tutto ciò che non sta in modo esplicito dentro il perimetro delle leggi e dei codici “uguali per tutti”, trasformandola in un fiume carsico che dal sistema legale entra ed esce a piacimento.

È ancora possibile recuperare il recuperabile? Non lo so. Certamente occorre recuperare un’abitudine al rispetto delle leggi, che sembra sempre più affievolirsi, magari ricominciando dalla scuola, dove pure l’educazione civica entra ed esce dai programmi scolastici anch’essa come un fiume carsico. Basterebbe forse insegnare un po’ di più di lingua italiana: i ragazzi scoprirebbero così fin da piccoli il piacere dell’etimologia delle parole, compresa l’autonomia.

Giovanni Puglisi

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