…ma un’avissi statu megghiu accussi? – di Salvatore Butera

Sere fa mi è capitato di rivedere in DVD un vecchio film di Luigi Zampa “Anni difficili” tratto con ampi mutamenti dal racconto di Vitaliano Brancati “Il vecchio con gli stivali”. Inutile dire che finito il film (che peraltro ha tanti meriti, non ultimo quello di farci scoprire con alcuni decenni di anticipo su” L’avventura” di Antonioni, il grande barocco della Sicilia orientale) sono andato a  rileggermi il racconto trovandolo bellissimo nell’inimitabile stile brancatiano. Con l’occasione ho letto e riletto altri celebri racconti dello scrittore di Pachino, anch’essi belli e interessanti, pervasi di quella lucida intelligenza che rimane la cifra brancatiana. Allora ho fatto una riflessione (amara, lo dico in anticipo): quanti studenti in Sicilia saprebbero oggi dire chi fu Brancati, uno dei maggiori scrittori italiani del ‘900? Ma andrò più avanti quanti insegnanti, o borghesi, professionisti e intellettuali sarebbero in grado non dico di discettare ma quanto meno di balbettare qualche parola a proposito di Brancati?  Non fu questo il caso di Sciascia che di Brancati lesse tutto e scrisse molto con il solito acume. Il che ci fa allargare il campo ad una considerazione fatta altre volte: cosa sarebbe la letteratura italiana fra Ottocento e Novecento e poi per tutto questo ultimo secolo senza il vero e proprio drappello degli scrittori  siciliani?  Si dirà: vecchie malinconie di un vecchio  giornalista, ed è vero. Ma bisogna occupare gli spazi! E a proposito di vecchi film sulla Sicilia, ho anche rivisto il magnifico (non di meno) “Sedotta e abbandonata” di Pietro Germi con la giovanissima Sandrelli. Dico solo questo: c’è una scena a metà film nella quale nella locale stazione dei carabinieri un esasperato maresciallo poggia tutta la sua mano sulla Sicilia nella grande carta geografica della caserma e si chiede gridando: ma un’avissi statu megghiu accussi? E cioè una Italia senza la Sicilia. La domanda la faccio mia anche perché nel tempo me la sono posta più volte, ma non in senso di solitario autonomismo o peggio di sicilianismo, quanto piuttosto con amara (e torna!) consapevolezza, in  totale sintonia con il disperato maresciallo dell’Arma. 

Salvatore Butera

 

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