Museo metafora della società – di Evelina De Castro

La società ha bisogno di fondarsi su un passato: nessuna civilizzazione umana può durare senza un passato.

Questa citazione da Jean-Michel Leniaud, ricorre comprensibilmente nella letteratura sul museo e sul ruolo crescente che nel tempo esso ha assunto nella società.

Nell’Italia del dopoguerra la riapertura dei grandi musei, Brera, Uffizi, Capodimonte, Gallerie dell’Accademia a Venezia fu occasione per nuovi allestimenti, percorsi espositivi e servizi al pubblico, all’insegna della ricostruzione del Paese a partire dalla cultura e dai musei, per la società che tornava a crescere su di una base comune e di accesso democratico all’arte come patrimonio eredità del passato alla portata di tutti.

Il fenomeno nazionale unitario trovò espressione a Palermo nella nascita del museo di Palazzo Abatellis. L’antica dimora tardo quattrocentesca,approdata ai tempi più recenti come Monastero del Portolano, annesso alla chiesa domenicana della Pietà, ancora alla fine degli anni Trenta del Novecento, veniva descritta da Maria Accascina come abbandonato alle piogge e ci stanno, a portieri,i venditori di arance sbucciate,due un soldo,a buon mercato.

I bombardamenti del ’43 colpirono il monumento e diedero accelerazione al restauro e alla destinazione museale compiutasi nel giugno 1954, quando la Galleria aprì finalmente i battenti, presto consegnandosi alla storia della cultura occidentale grazie all’allestimento curato da Carlo Scarpa, allestimento che da allora è tutt’uno con i capolavori dell’arte europea che la Galleria custodisce : l’Annunciata di Antonello da Messina, dalla straordinaria forza iconica, il Busto di Eleonora d’Aragona di Francesco Laurana, simbolo di un Rinascimento internazionale, ma, ancor prima nel tempo, il Trionfo  della Morte, l’opera mondo dell’autunno del medioevo mediterraneo .

La migliore ambientazione di museo che mi sia mai capitato di incontrare in tutta la mia vita. Palazzo Abatellis è davvero un capolavoro, avrebbe detto Walter Gropius in viaggio a Palermo nel 1967.

Il dato museografico, tout court artistico, di quello che ancora oggi è il capolavoro Galleria Abatellis, frutto, non dimentichiamolo, della collaborazione dialettica fra Carlo Scarpa e Giorgio Vigni, conservatore delle collezioni, cede l’attenzione in questa sede al nodo sociologico .

Il museo per tanti aspetti più importante dell’Italia meridionale, sorse emblematicamente nel cuore del degrado di una città a sua volta emblematica della condizione delle città metropolitane del Sud nell’immediato dopoguerra. A Palermo la ricostruzione del corpo fisico della società si affida alla realizzazione di un museo che sorge nell’antico quartiere della Kalsa, esanime, colpito dalle bombe, già da tempo impoverito nel tessuto produttivo, abbandonato e svuotato nel tessuto abitativo delle vetuste dimore aristocratiche.

Il restauro del palazzo, l’intervento di Scarpa, il trasferimento definitivo dei capisaldi dell’arte europea, dal Gotico internazionale al Rinascimento che ancora oggi vi hanno stabile dimora, sono segno, o meglio,  sintomo di qualcos’altro, attingendo a Erwin Panofsky. Sintomo forse non del tutto o non per tutti i protagonisti del tempo evidente e consapevole, ma tuttavia evidente e robusto di una comunità che riparte.

Palazzo Abatellis nacque come un museo moderno e lo è tuttora, un luogo in cui l’arte del passato, dal medioevo di cultura islamica al Rinascimento europeo, abita nel palazzo tardo quattrocentesco opera di Matteo Carnilivari e si  presenta al visitatore nelle ambientazioni  scarpiane che parlano il linguaggio del contemporaneo.

Da quel puntuale mileau storico di ricostruzione della società, al  successivo incipiente fenomeno della società di massa, alle odierne dinamiche del turismo culturale di massa appena trascorse, il museo è consapevole sede della memoria culturale che si esercita attraverso le arti visive, cariche della straordinaria forza del nachleben (sopravvivenza). Da qui secondo Aby Warburg la storia delle arti figurative si pone come scienza della civilità.

Evelina De Castro