Le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni d’un linguaggio;”[…]” – di Guido Gianferrara

Quello che sta a cuore al mio amico Marco Polo è scoprire le ragioni segrete che hanno portato gli uomini a vivere nelle città, ragioni che potranno valere al di là di tutte le crisi. Le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni d’un linguaggio; le città sono luoghi di scambio, come spiegano tutti i libri di storia dell’economia, ma questi scambi non sono soltanto scambi di merci, sono scambi di parole, di desideri, di ricordi” (Italo Calvino, Le città invisibili).

Alla fine di febbraio si è svolta a Palermo, a Palazzo Branciforte, la cerimonia di premiazione dei progetti presentati per il recupero di Borghi siciliani abbandonati.

Quel giorno furono illustrate tante idee, tutte legate non soltanto alla ricostruzione, all’abbellimento, alla salvaguardia di quel Borgo o di quell’ambiente, ma in realtà, e volendo guardare più a fondo, quelle idee erano volte a restituire l’anima, riattivando la comunità, il suo senso di appartenenza, la sua identità, a quel contesto, a quel Borgo, a quel luogo, poi abbandonati.

In quel momento, pensavamo che il coronavirus fosse lontano e confinato in un continente distante mentre, in realtà, incombeva già nel nostro paese e ben presto ci avrebbe confinato nelle nostre case.

Inconsapevoli non avevamo idea alcuna di ciò che sarebbe successo.

Poi, d’un tratto, la nostra vita quotidiana è stata stravolta e così, abbiamo conosciuto un volto nuovo delle nostre città: strade deserte, bar, ristoranti, negozi chiusi, poche auto e pochissime persone in giro munite di guanti e mascherine diventate abbigliamento indispensabile.

Al vuoto ed al silenzio delle piazze e delle vie, però, si è contrapposta una nuova vitalità nelle case, diventate luoghi dove si è realizzato il forzato confinamento di ciascuno di noi.

Questa inedita dimensione domestica ha modificato le nostre abitudini e, forse, ha cambiato profondamente il nostro modo di vivere, di relazionarci agli altri, di lavorare, di comunicare. Smartphone, pc, tablet, conference call, lezioni in distance, smart working, già strumenti necessari, sono diventati nuova essenza della nostra vita quotidiana, per non restare isolati.

Tornano in mente, quasi in modo naturale, le parole di Calvino, e si percepisce con immediatezza quanto siano importanti, per ognuno di noi, il senso di comunità e le relazioni tra le persone (gli scambi di parole, di desideri, di ricordi) che, forse per troppo tempo, abbiamo sacrificato perdendo l’idea stessa di bene comune.

Emerge, così, forte il senso e la necessità della comunità, ma di una comunità di memoria, di desideri, di segni d’un linguaggio, diversa da quella, frantumata in interessi egoistici ed avvitata su una inutile litigiosità, capace solo di esprimere un paese “introverso e rancoroso” (C. Bastasin, Viaggio al termine dell’Occidente, pag. 52, Luiss University Press 2019).

Eppure, ora che si profilano all’orizzonte le Fasi 2 e 3, è proprio questo il momento in cui occorre, ricercando quelle ragioni che potranno valere al di là di tutte le crisi, ridisegnare e progettare; è questo il momento in cui devono ritrovare spazio i valori della solidarietà, dell’accoglienza, dell’identità, del pluralismo, della diversità, che costituiscono la base fondativa della nostra società e che oggi siamo chiamati a riascoltare nella pienezza dei loro contenuti, lasciandoci alle spalle l’idea di una società poggiata su slogan tanto inconcludenti quanto vacui.

Guido Gianferrara

 

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