L’economia invisibile – di Giovanni Puglisi

    Quante economie esistono? Una, nessuna e centomila? Una sarebbe troppo poco, nessuna assurdo, centomila più vicino alla realtà. E non è necessario frequentare le cabale universitarie e i settori scientifico-disciplinari della burocrazia accademica per rendersene conto. Basta scorrere i social – un tempo si sarebbe detto l’elenco telefonico.

    Eppure, tra le centomila economie, ce n’è una che non compare – e non è mai comparsa neppure negli elenchi telefonici – ma esiste da sempre e, per molti versi, è quella che fa proprio da “collettore” a tutte le altre. È l’economia di strada, quella dello scambio minuto, del sotterfugio, della mancia data per dovere e non per piacere, quella del delinquentello di borgata e quella dei “colletti bianchi” dei quartieri alti, quella del piacere a consumo e quella del professionista del piacere, ma anche quella del ladro di polli, come del truffatore d’alto bordo, mafia free, ma non sempre. Un’economia tanto estesa, quanto invisibile. Proprio quell’economia che sfugge quotidianamente anche alla lucide e vigili attenzioni dei controllori della legalità, penale, ma soprattutto fiscale, prevalentemente ben strutturata tra il reato, l’illecito, il quasi illecito, la furbata, la furfanteria, l’imbroglio e, perché no?,  il bisogno.

    E già, è proprio il bisogno, quello che accompagna ogni giorno la vecchietta che si accosta all’auto ferma al semaforo per chiedere la carità, allungando una mano visibilmente logorata dalla stanchezza del gesto, è il bisogno che sostiene il giovane o meno giovane, che, al semaforo successivo, pietosamente mostra la sua malformazione per innescare quella pietas di strada che dura quanto il semaforo, è anche il bisogno che istiga l’uso vergognoso dei bambini, in un racket dello sfruttamento, che forse sfiora il cuore, meno il portafogli, degli italiani, se non per quel tanto che serve a fare circolare il necessario, per sfangare l’economia domestica di una giornata degli sfruttatori occulti. Un po’ come per i posteggiatori abusivi, i borseggiatori di strada o quelli del bus o del metrò. Quella microcriminalità che alterna il soggiorno a carico del contribuente negli alberghi mandamentali di zona, con le altre, diverse forme di esazione diretta a carico sempre dei cittadini perbene, facendo così circolare quella microeconomia che rende fluidi i mercati, alimenta la rete della giustizia, allunga l’agonia, ma anche  la vita di una zona grigia della società, lasciando ai “marginali” lo spazio per la difesa del loro presunto “diritto” all’esistenza e offrendo all’ipocrisia dei più l’alibi del perbenismo assolutorio.

    Questa economia non la insegna nessuna Università, non la racconta, per quel che essa  è davvero, nessun editorialista, non la persegue nessun agente delle tasse, non la rivendica nessun Premio Nobel: eppure è l’economia del vissuto, è quella che fa girare, day by day, la macchina del quotidiano, Paese per Paese, Continente per Continente. Ed è stata, fra le tante economie, la vera vittima del COVID 19. Il lockdown del Paese, chiudendo le città, bloccando gli scambi, impedendo la circolazione di uomini e merci, ha “risanato” sotto il profilo penalistico l’Italia: i ladri non potevano più rubare, gli spacciatori non riuscivano più a distribuire i loro “prodotti”, i distributori di qualsiasi genere di mercanzia hanno dovuto interrompere la loro attività; gli avvocati, soprattutto penalisti e in provincia, hanno chiuso i loro studi; i penitenziari hanno avuto un momento di “respiro”; i magistrati hanno sfoltito l’atavico arretrato. In una parola l’economia di strada, quella dello scambio minuto, del sotterfugio è “scomparsa”, l’amministrazione della Giustizia ha preso respiro, ma il nostro Paese, quello del vivere quotidiano, quello di strada e per strada, è entrato in una crisi poco declamata, ma esizialmente molto infiltrante. Che fare? Riprendere il cammino della grande economia, riaprire il Paese, avrebbe rimesso in movimento il ciclo e il riciclo anche di quest’altra economia, l’economia al minuto? Forse. Certamente l’ardua sentenza ai posteri.

    “L’Italia riparte!”, si strilla oggi nei Palazzi, nei talk show e sui giornali. Sì, l’Italia è ripartita:  di sicuro però per il momento è ripartita quella dell’economia al “minuto”, dell’economia di strada, del sotterfugio, del mariuolo, del “mediatore” di tutti i bordi. Speriamo che tardi ancora un poco quella mafiosa.  Se però anche la prima, quella dei professorini, dei professoroni e dei salotti della grande, piccola e media industria non dovesse ripartire,  l’affare si ingrosserebbe davvero! Tornerebbe in crisi anche quella di strada e detterebbe le regole ancora una volta quella mafiosa. E non solo dalle nostre parti!

    Giovanni Puglisi

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