A soccombere è la specie umana – di Aurelio Angelini

Il principio di precauzione stabilito dai trattati europei, dovrebbe indurci a dotarci di politiche ambientali più efficaci e severe per migliorare la qualità dell’aria, attraverso la promozione generalizzata della mobilità sostenibile, la fuoriuscita dall’era dei combustibili fossili, la riduzione della produzione degli allevamenti intensivi e tutte le più importanti sorgenti di particolato. Ma tale strategia stenta a decollare. Eppure, non mancano i richiami autorevoli come quello fatto recentemente dal segretario generale dell’ONU Guterres, che ha ribadito al primo vertice internazionale sul clima del 2020 a Petersberg, che occorre implementare ulteriormente la lotta contro il cambiamento climatico, che deve essere posto al centro dei piani per rilanciare l’economia globale dopo l’emergenza coronavirus. Guterres, chiede che si utilizzino i soldi dei contribuenti per creare imprese e posti di lavoro verde e non per salvare industrie obsolete e inquinanti. Gli investimenti devono essere finalizzati alla de-carbonizzazione dell’economia, eliminando i sussidi ai combustibili fossili. Per Guterres, è necessario salvare le imprese in grado di riconvertire in modo sostenibile e che utilizzino tecnologie a basso impatto ambientale e aumentino l’energia generata con fonti rinnovabili.

L’alta concentrazione di inquinanti in aria è responsabile di una vera e propria emergenza sanitaria dall’Agenzia Europea Ambiente (EEA). Nel rapporto annuale sulla qualità dell’aria del 2019, in cui la mortalità in eccesso è correlata a tre parametri ambientali: PM-2.5, NO2 e O3.  In Europa l’inquinamento anno dopo anno miete circa mezzo milione di vittime, il doppio dei morti finora per Covid-19. In Italia si stima che le vittime nel 2019 sono state 76.200 circa. La mappa realizzata dall’EEA sulla concentrazione di PM-2.5, mette in evidenza la drammatica situazione dell’area vasta della pianura padana. Contesto ambientale dovuto alla sovrapposizione di diversi ma convergenti fattori: attività industriali e zootecniche; alta densità abitativa; alte emissioni da traffico e riscaldamento edifici e, il ruolo che giocano le condizioni meteoclimatiche molto sfavorevoli. 

Nel giro di pochissimo tempo gli stili di vita e le abitudini della maggior parte dell’umanità sono cambiate in modo radicale per combattere un nemico Covid-19, al contrario del global warning, in quanto percepito politicamente e socialmente attraverso il bollettino quotidiano della crescita esponenziale dei contagi giornalieri, dei ricoveri, dei tamponi eseguiti e dei decessi.

La correlazione tra alto livello di concentrazione di PM-10 e la diffusione/aggravante dell’evoluzione del Covid-19 è stato posto al centro della riflessione di numerosi studiosi ed enti di ricerca.  Le analisi sono indirizzate a dimostrare la forte relazione tra il numero di casi di Covid-19 e l’alto inquinamento da particolato a partire dalla mappatura della concentrazione dei principali e significativi focolai in cui si è registrata, come per i territori della pianura Padana, in relazione alla medio/bassa concentrazione di infezione registrata in regioni d’Italia. 

La Lombardia che in questi mesi ha mantenuto mediamente un 50% del totale dei contagiati, è prima in graduatoria da diversi anni per il superamento di concentrazione  di PM-10, la soglia limite per legge è di 50 microgrammi/metrocubo e per non più di 35 giorni per anno, vede ai primi posti: Brescia con 150 giorni; Milano con 135 giorni; Bergamo con 127 giorni. 

Alcuni autorevoli centri di ricerca hanno sollevato l’ipotesi che l’inquinamento dell’aria possa in qualche modo agire come fattore  peggiorativo dell’impatto sanitario della pandemia in corso, analizzando la correlazione tra territori a rischio ambientale e sanitario e diffusione del virus. Vi sono anche alcuni ricercatori che stanno studiando la funzione di “vettore” che il particolato può avere nel trasportare a più lunga distanza il virus che si “depositerebbe” sulla superficie delle PM-10 che hanno una grandezza di almeno 10  volte superiore a quello del virus. 

  In questo contesto ambientale è necessario approfondire e valutare l’impatto sulla vita degli umani del Fattore  Spillover, le conseguenze della distruzione della biodiversità, l’avanzare dell’urbanizzazione e la globalizzazione, sia come impatti singoli e sia come impatti cumulativi, acceleratori del meccanismo biologico del salto di specie (David Quammen, Spillover. L’evoluzione delle pandemie da specie selvatiche a uomo di nuovi virus, 2017). Secondo Quammen, i virus non vengono da un altro pianeta e non nascono dal nulla. I responsabili della prossima pandemia sono già tra noi, sono virus che oggi colpiscono gli animali ma che potrebbero da un momento all’altro fare un salto di specie, che colpisce anche esseri umani. 

Possiamo leggere questo nostro tempo in vari modi ma eticamente non possiamo continuare a girare la testa da un’altra parte, cosa che i decisori politici sulla crisi ambientale fanno da troppo tempo. Adesso non c’è più tempo da perdere perché nello scontro tra natura e il modello economico fossile a soccombere è la specie umana. 

Aurelio Angelini
Professore ordinario di sociologia dell’Ambiente, Unikore

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